Finiture Green

Il progetto e le nuove frontiere del digitale tra artigianato e industria

Gianpiero Alfarano

Nell’atto del progettare è necessario trasferire saperi e competenze “soft” legati alla sensorialità, ossia che tengano conto della componente emotiva e di quella tecnologica.

Visto come va il mondo, se lo si pone sul piano preferenziale, la maggior parte di noi opterebbe per un prodotto artigianale invece che per uno industriale. La predisposizione si nota soprattutto nel momento di scegliere uno dei prodotti dalle sensorialità evidenti come possono essere quelli alimentari. Non c’è alcun dubbio sulla prevalenza di un gelato, di una birra, di un pasticcino artigianale su quello industriale. In generale la predilezione si esprime in quei settori in cui l’intervento umano ne caratterizza la produzione. Perfino in settori high tech ad altissima concentrazione di automazione, come il settore automobilistico, i modelli più prestigiosi ricorrono a lavorazioni, finiture e controlli fatti a mano per ottenere qualità esclusive e irraggiungibili in altro modo. Nell’arredamento, nell’abbigliamento, nella pelletteria diamo per scontata l’opinione diffusa che la qualità del prodotto fatto a mano sia superiore rispetto a quello realizzato in serie. Senza poi doverci soffermare specificatamente nel settore del lusso. Qui qualità ed eccellenza del prodotto handmade sono protagonisti indiscussi, pur avendo all’interno del processo produttivo diverse contraddizioni come quelle di sfruttamento sociale e spreco energetico con un forte impatto ambientale.
Tra artigianale e industriale decorrono sicuramente delle differenze, ma alcune sono solo etichette che eclissano la vera sostanza della condizione attuale. Le nuove determinazioni alla produzione che ciascuno dei due settori sta già assumendo da qualche tempo hanno bisogno di molta più attenzione di quanta se ne pone per far chiarezza e apprezzarne i nuovi contenuti.

Il prodotto artigianale ha da sempre presentato in un’unica figura la sintesi pensiero e azione lasciando all’esecuzione la libertà di esprimere tutto il tempo necessario per fare il bello. La parsimoniosa cura del dettaglio ne ha fatto la dottrina. Il prodotto industriale, dal canto suo, ha impostato le attività sulla quantità in tempi più brevi possibili con un vantaggio di abbattimento dei costi, se non del tutto di produzione, sicuramente di offerta al mercato. L’industria si è posta la semplificazione come condizione necessaria. L’artigianato la minuziosa attenzione all’esecuzione del fare come sua esaltazione.
Da ciò ne è conseguita tutta una venefica povertà di lettura, la quale ha fatto fissare una sorta di contrapposizione tra artigianale ed industriale perpetrata come se tutte le libertà e le qualità competessero alla prima mentre tutti i vincoli e le responsabilità competessero alla seconda.
In questa differenziazione, tuttavia, sono interessanti alcuni fenomeni di travaso e di contagio.
Per darne più specificità di argomentazione, iniziamo ad apprezzare una costante che accomuna i due metodi di produzione: la precisione. Per ognuno dei due settori è intesa in modo diverso ma è praticata per le stesse finalità.
Se il prodotto fatto artigianalmente assume implicitamente l’alta qualità di precisione, da intendersi nel su misura, nell’esclusività del pezzo unico, per il prodotto industriale la precisione è altrettanto importante perché permette la pratica del tenore costante dei valori produttivi attraverso sistemi di automazione in contesti organizzati. La precisione in questo secondo contesto è richiesta principalmente per la fedeltà del prodotto ad essere riproducibile “fedele a sé stesso” (definizione di prodotto di serie dato da G.C. Argan alla X Triennale (Argan 1959).
La riproducibilità, inoltre, attraverso sistemi meccanizzati, gioca un ruolo determinante non solo nel garantire costante la qualità sulla quantità, ma anche nel permettere ai sistemi di controllo, alle macchine automatiche, ai robot di riprodurre in serie le lavorazioni e i livelli qualitativi di alcuni prodotti ritenuti capaci di prestazioni e finiture elevate impossibili con sistemi produttivi manuali.

Il trattamento delle finiture delle superfici risulta essere, in questa attitudine di entrambe i settori, l’attestazione di un alto valore esecutivo, un carattere che accumuna le finalità espressive dei prodotti. Artigianalmente la precisione del trattamento dei dettagli e la genuinità del rapporto materia e lavorazione delle superfici ne discrimina l’autenticità, mentre determinati livelli di precisione, sicurezza, conformità agli standard ambientali, igienici, energetici e tecnologici possono essere raggiunti, replicati e offerti con caratteristiche permanenti solo per mezzo di sistemi automatizzati.
Inquadrati da questa angolazione, come prima annotazione possiamo dedurre che il prodotto artigianale e il prodotto industriale hanno in realtà molti aspetti in comune. Entrambi, per tenere fede all’idea di precisione come valore qualitativo, fanno ricorso a due fattori della produzione imprescindibili allo svolgimento dei processi, ossia manodopera e macchinari.

Le comunanze di questi due fattori cardine del sistema produttivo si trovano oggi nella sensibilità posta sugli elementi materiali. Sensibilità che sollecita il progetto ad essere protagonista dei caratteri sensoriali degli oggetti come mai in precedenza. Si tratta di incidere sulle finalità percettive dei prodotti con criteri e proiezioni inediti.
A influire, prima di tutto, è il rapporto tra le tecnologie e la realtà fisiologica, antropologica e culturale del corpo umano. Ad essere messi in discussione sono i tradizionali equilibri psicologici, fisiologici, muscolari ancora riferiti a stereotipi di comportamento condotti da logiche meccaniche. Il panorama che oggi ci viene offerto dall’elettronica è totalmente senza riferimento ad un precedente. Ai fattori percettivi tangibili si sono associati, quasi con aspetto prevaricante, quelli intangibili. Realtà virtuale, percezione aumentata, multisensorialità, sinestetica artificiale, tecnologie soft, proliferazione di servizi immateriali, riportano ad una caratteristica saliente che non riguarda la diversità, ma al contrario l’ambiguità. Non è più percettibile una differenza tra realtà fisiologica e realtà strumentale. Così come non è più separabile il reale dalla connettività e dall’interazione con i dispositivi virtuali. L’ecosistema ibrido che ci ingloba rende ambigua ogni ricerca di classificazione per la pluralità di significati che ogni impostazione del virtuale, dell’artificio, del protesico tecnologico sa assumere in complemento alla definizione convenzionale di realtà.
Ogni nostra percezione appartiene alla connessione continua con gli strumenti analitici e prescrittivi di cui ci dotiamo. (Floridi 2014). I devices elettronici fanno parte integrante del nostro apparato percettivo non solo per amplificarne le facoltà, ma anche nell’offrirne alternative succedanee alle convenzioni e inedite alle consuetudini. Le tecnologie di Digital Design, Stampa 3D e Open Source sono alla base dei nuovi paradigmi IoT, Industry 4.0, il Digital Craft, il cui imperativo è quello di realizzare prodotti sempre più sofisticati e appetibili nell’interazione con le aspettative e le nuove esigenze umane. In questo la competizione tra artigianale e industriale ha trovato un altro fattore di condivisione: il fenomeno dei Makers (Anderson 2012). Le nuove tendenze produttive stanno sempre più enfatizzando il ritorno all’autoproduzione. E di ritorno si parla perché non è certo un fenomeno inedito, ma di provenienza dagli anni Sessanta. Un’attività dilagante rimessa in pista dalle nuove generazioni di designer con strumenti diversi, ma con lo stesso vetero impianto concettuale nel voler utilizzare processi accessibili.

Ciò che può sembrare un tornare a lavorare in prima linea con il fatto a mano, a gomito con le maestranze, altro non è che l’interpretazione in termini più aggiornati del concetto di fabbrica. Un processo non solo in evoluzione, ma fortemente condizionato dall’invasione sociale di identificazione dell’organizzazione produttiva ad ogni livello. Il concetto di fabbrica ormai pervasivo ha conquistato la società intera espandendo le modalità e il modello industriale ad ogni livello sociale. Un quadro mutevole praticato da fenomeni come i Makers, le attività Open Source, le economie Self Brand e visioni del mondo On Demand. Precedenti illustri in questa direzione non mancano. Basta citare l’invenzione rivoluzionaria del Metamobile di Enzo Mari, che nel 1974 invitava a fare i mobili in casa con assi di legno e materiali di recupero fornendo progetti attraverso un manuale di Autocostruzione.
La logica costruttiva basata sulla semplicità degli elementi, più che a dare indicazioni pratiche for all finalizzate a costruire con assi di legno e chiodi quasi tutti gli arredi di un’abitazione (ancor prima della pratica del far con brugole), in fondo lanciava una sfida di educazione visiva difficile da assorbire in alternativa ai canoni convenzionali. Questa posizione critica di Mari verso la mistificazione dei bisogni materiali e culturali del pubblico pervade accanitamente tutto il suo lavoro per distribuire concetti “liberi da connotazioni meramente estetiche e sovrastrutture stranianti”. Così come ebbe a scrivere sull’attività di Enzo Mari, Tommaso Trini su Domus 458 del 1968.

Il rapporto di Enzo Mari con i criteri di produzione, posti in contrapposizione tra artigianale e industriale, lo inducono a voler dimostrare gli aspetti paradossali del confronto tra essi se mosso in relazione con la manualità. Nella mostra “Dov’è l’artigiano?”, titolo ironico quanto provocatorio, allestita alla Fortezza Da Basso di Firenze nel 1981, Mari spiazza completamente le aspettative. Mette in esposizione e dimostra che anche un satellite artificiale, pezzo unico ed espressione della più alta tecnologia del momento, fosse esso stesso fatto a mano. Dimostrando quindi che ciò che si ritenesse estraneo alla manualità, in fin dei conti, se ne facesse impiego più di quanto ci si immaginasse. Il fatto a mano, quindi, poteva ritenersi dal significato equivoco se solo fosse pensato sufficiente a classificare l’artigianalità. L’abilità esecutiva di saperi antichi non poteva già allora da sola definire le nuove traiettorie dell’artigianale e Mari ne fa la sua personale provocazione.
Della mostra di Firenze, nel farne arguta e dettagliata critica di sostegno, G. K. Koenig non può evitare, anzi ne fa vessillo di incoraggiamento, il carattere rivoluzionario dell’operazione. Sul numero 62 di Ottagono (1981), di cui ne era direttore, Koenig scrive: «Coloro che si muovevano in direzione opposta erano considerati terribili guastafeste su cui pendeva la scomunica. Tipico è stato il caso di Enzo Mari» (Koenig 1981).

Da questi prodomi di cambiamento riferiti strettamente ai reciproci scambi tra artigianato e industria si delinea la provenienza lontana di «quell’ambiguità di riflesso nell’incontro tra cultura del prodotto e cultura del progetto» (De Fusco, 2012) che guadagna, dall’eredità della tradizione del fatto a mano, l’apertura e la disponibilità alle modificazioni indotte dai dispositivi tecnologici, dall’attenzione all’impiego dei materiali e dall’inclusione senza pregiudizi di nuovi processi produttivi alternativi e inediti come ad esempio il rapid prototyping.

Oggi, il fatto sostanziale è che le definizioni di artigianato e quelle di industria stanno rapidamente distaccandosi da quelle originarie mutando profondamente significato. L’operato artigiano si sta allontanando dal perimetro che il confronto con l’industrializzazione le aveva attribuito relegandolo a perseverante conservatore della tradizione. L’operato industriale, da parte sua, ha ampiamente dimostrato i suoi limiti, tra i tanti soprattutto quelli a scapito delle risorse ambientali erroneamente ritenute illimitate. In ballo c’è un nuovo approccio alle modalità di produzione, alla razionalizzazione delle risorse, alla coscienza dell’impronta ambientale che qualsiasi sistema produttivo rilascia. Dalle responsabilità dei modi di produrre alle responsabilità dei modi di progettare è un passaggio che innesca un aggravio di responsabilità per il progetto.

Fino a pochi anni fa la necessità del prodotto di massa ha fatto ritenere che sia il produrre la condizione operativa più difficile in una visione orientata alla tutela ambientale. Oggi la situazione si è del tutto capovolta. Ad essere difficile risulta più il progettare che il produrre. Le nuove istanze precauzionali, le nuove tecnologie predittive invitano a prestare sempre più attenzione al progetto prima che alla produzione. Dall’impostazione del progetto si evincono le esperienze che verranno. Dipendono molto da esso la fruizione e le ricadute che si potranno avere sul comportamento umano e sull’ambiente. Progettare un prodotto, fino a ieri, aveva come consueto obiettivo quello di dare forma a strutture capaci di offrire prestazioni rispettando vincoli, per così dire, interni a esse. Oggi, e sempre più domani, sia i vincoli, ma anche le opportunità, sono riconducibili soprattutto ad elementi esterni e sono le scelte dei designer a determinarne le conseguenze. Nell’atto del progettare vengono a decidersi condizioni tali da contribuire ad orientare lo sviluppo dei materiali delle tecnologie attraverso l’intensità dei trasferimenti di saperi e di competenze da un settore produttivo ad un altro. In questa condizione si trovano ad essere determinanti alcuni aspetti ritenuti marginali o, per distrazione o scarsa attenzione, considerati erroneamente poco incidenti sul risultato finale dei prodotti. Mi riferisco ad elementi soft del design legati alla sensorialità, ossia alla progettazione di spazi ed oggetti tenendo conto della componente emotiva generata da innovazioni tecnologiche avanzate. È uno status il progetto che incontra il fare artigiano con strumenti e tecniche di elevata meccanizzazione quali che siano le nuove frontiere del digitale. Un quadro sinergico che sa arricchire di nuove esperienze sensoriali gli oggetti mediante l’applicazione delle innumerevoli qualità prestazionali che nuovi materiali e nuove tecniche di applicazione e trattamento delle superfici riescono a dare.

e innovazioni che la ricerca in questi campi sta producendo sono ancora non del tutto note alle potenzialità espressive sia del fare artigiano sia all’esecuzione industriale. Queste nuove sensibilità negli oggetti e nei contenuti avranno modo di essere praticate se si valicano posizioni prefissate da convenzioni e stereotipate in falsi miti. Il design nella acquistata sensibilità all’innovazione sostenibile deve agire in termini di proiezioni inclusive di competenze e di risorse associate a nuove opportunità. A ben guardare la separazione tra artigianale e industriale non ha più ragione di esistere non solo per le transizioni sociali ed economiche in corso, ma per essere nate da impostazioni imputabili a diverse estrazioni culturali, quella creativo-qualitativa dell’artigianalità e quella economico-quantitativa dell’industrializzazione. Condizioni non più accettabili in questa contraddittoria appartenenza. Una condizione ancora in pista nonostante sia ben chiaro a tutti il valore e il destino della qualità che ormai non è più da ricercare per la soddisfazione delle attività umane, ma è necessità improcrastinabile anche per l’ambiente.
La sfida quindi, puramente ideologica, tra prodotti artigianali e prodotti industriali c’è ragione di credere che proprio attraverso la qualificazione di piccoli dettagli saputi ben evidenziare dal capitale umano, capace di attingere e travasare abilità dalle une alle altre competenze, possa trasformarsi in un ampio sodalizio.

Bibliografia
Alfarano, G. (2017), “Generative generation design”, in “Electronic Imaging & the Visual Arts, Florence, University Press, FI
Alfarano, G., (2016), “Il design in superficie”, in Guglielmi, E, “Design Stone Story”, Pietro Macchione Editore, VA
Alfarano, G., (2016), “La materia che insegna”. in Filieri, J., “La materia in-Forma”, Delfino Editore, MI
Alfarano G., La Pietra, U., (1994), “Ulrich gli oggetti fatti ad arte”, Electa, MI
Anderson, C., (2012) “Maker. The New Industrial Revolution”, Business Book
Argan, G. C.,(1959), “Risposta ad un’inchiesta sull’artigianato”, Zodiac pp 1-7, ripubblicato in Argan G. C., (2003) “Progetto e Oggetto”, Medusa, MI
De Fusco, R., (2012), “Filosofia del Design”, Einaudi, TO
Floridi, L., (2014), “The Onlife Manifesto”, Springer open
Koenig G. K., (1981), “Dov’è l’artigiano”, in Ottagono n° 62
Mari, E., (1981), “Dov’è l’artigiano”, Electa, MI
Micelli, S., (2011), “Futuro Artigiano”, Marsilio, VE

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