L’immaginario della designer italiana Serena Confalonieri è sorprendente. Guardando i pezzi delle sue collezioni si entra in un mondo che usa il colore e le forme per sollecitare i sensi e per farsi trasportare dalle emozioni. Ma dietro ai sentimenti che suscitano le installazioni, i pezzi, la grafica, c’è un profondo lavoro di ricerca e conoscenza.
Serena Confalonieri è una designer e art director milanese che lavora nel campo del design del prodotto, dell’interior design, della grafica, del textile design, e collabora con aziende e artigiani d’eccellenza sia in Italia che all’estero. Ha uno stile molto particolare che si costruisce attorno a grafiche, colori e una visione emotiva mescolata a decorazioni, iperboli e forme geometriche, soggetti inaspettati, combinazioni cromatiche e materiche unite a ispirazioni antropomorfe e zoomorfe. Dà vita a progetti in cui il design viene interpretato con ironia e viceversa, la giocosità è alla base di tutti i suoi progetti. Ogni progetto parte da una accurata ricerca che indaga il significato e la storia di tutti gli elementi coinvolti, dando loro una nuova e personale interpretazione. In particolare, la ricerca approfondita sulle superfici è per lei molto importante. E, naturalmente, lo scopo è di ottenere risultati impeccabili con una forte coerenza nel disegno, nella decorazione e nel colore.
Serena, nel mio podcast faccio a tutti la stessa domanda, cos’è il colore per te?
Il colore è la prima cosa che vediamo. Lo vediamo da lontano. Vediamo il colore prima della forma. Quindi, penso che il colore sia qualcosa che anticipa il tono emotivo dell’interazione che avremo con l’oggetto, lo spazio, il prodotto. È una sorta di anticipazione dell’esperienza che faremo. A volte l’esperienza è fedele al colore, a volte no, forse può essere complicata, ma in un certo senso definisce le nostre aspettative sull’esperienza.
Il colore gioca un ruolo molto importante nel tuo lavoro. Come scegli il colore? In che modo il colore si relaziona alle diverse trame e ai diversi materiali con cui lavori nei tuoi progetti?
Ho un forte approccio identificativo. Molto grafico. Il mio stile è molto riconoscibile e colorato. Il mio approccio è principalmente emozionale. Mi piace quando il colore interagisce con le persone e l’esperienza che avranno con un prodotto o in uno spazio. Inoltre, non solo con il colore, ma in generale con il mio design, cerco di creare qualcosa che dia una sensazione, una connessione emotiva con le persone. Al giorno d’oggi, il buon design non riguarda solo l’aspetto funzionale. Lo è, ovviamente, perché è la prima cosa che dobbiamo tenere a mente, ma siccome siamo sopraffatti da molti prodotti, molti oggetti, penso che un buon design sia quel qualcosa che scegliamo di portarci dietro tutta la vita, proprio perché gli abbiamo dato un valore emotivo. E il colore è una parte importante di questo.
Come vorresti che le persone si sentissero quando guardano un progetto di Serena? Qual è l’emozione che vorresti provassero?
Vorrei che fossero felici, felici di vedere quel tipo di colore e forma. Perché, come ho detto, siamo sopraffatti da oggetti funzionali dei quali sentiamo di avere bisogno, ma alla fine non è così. Voglio che le persone guardino gli oggetti che disegno e sentano qualcosa di positivo, una felice sensazione di qualcosa che faccia emergere il mio oggetto da tutti gli altri solo funzionali.
Come si riconosce un pezzo “vero Serena”? Ad esempio, qual è la tua firma oltre al colore?
Dipende. Perché, anche se il mio stile è molto forte e audace, quando progetto cerco di essere sempre molto rispettosa di ciò che mi viene richiesto perché ci possono essere molti livelli di interazione tra il mio modo di progettare e quanto si aspettano i clienti. Ad esempio, ho disegnato per Gebruder Thonet Vienna, che è un marchio storico, che ha una brand identity molto riconoscibile. Quando ho disegnato per loro ho cercato di seguire la loro eredità. E poi da lì, abbiamo lavorato con diverse opzioni di colore, ma iniziando con il legno naturale e il nero, l’arancione, che sono i colori dell’identità del marchio.
Ho appena realizzato il progetto degli interni di un ristorante alle porte di Milano e anche in questo caso, nonostante prediliga i colori vivaci e saturi, quando ho dovuto interagire con il cibo e l’identità dello chef, che usa prodotti alimentari locali, coltiva le sue verdure, non ho voluto sopraffare il suo approccio, la sua filosofia, usando il colore in modo eccessivo. A prescindere dai colori, credo che i miei progetti abbiano una cifra stilistica molto forte che li rende estremamente coerenti tra loro e con il mio mondo.
Quando lavori con il colore ogni giorno, e penso che siamo entrambe questo tipo di persone, a volte è una sfida usarlo in modo nuovo, innovativo. Ci sono, secondo te, nuovi modi di usare il colore?
Beh, penso che un modo nuovo, un modo diverso di usare il colore sia non usarlo in modo commerciale. Voglio dire, molte volte il colore è solo l’offerta di diverse opzioni dello stesso oggetto, dello stesso mobile dallo stesso design. Penso che la cosa migliore sarebbe trovare qual è davvero il colore migliore per quel tipo di progetto. Capisco che l’approccio commerciale sia qualcosa che dobbiamo usare, ovviamente, ma a volte ci sono alcuni tipi di prodotti che credo richiederebbero un diverso approccio. Ad esempio, nella mia collezione Nebula, che è un’autoproduzione di bong (pipe ad acqua) in vetro soffiato, penso che il colore sia forse il punto di partenza. La caratteristica è un mix di colori diversi perché l’ispirazione è data dai fenomeni psichedelici, esperienze psichedeliche legate all’uso delle droghe, la ricerca della connessione con l’universo. Quindi, quando ho disegnato questa collezione era solo quell’immaginario che avevo in mente. Era legato a quello. E sono partita da quel tipo di tecnica, quel tipo di colori misti. E da lì ho disegnato la collezione. E non penso che con colori solidi o colori neutri sembrerebbe lo stesso. Non si avrebbe la stessa sensazione, lo stesso approccio.
Lavori con molti materiali diversi, ma spesso li mescoli anche in modo del tutto inaspettato. Dove trovi la tua ispirazione per materiali diversi o per mescolare queste creazioni?
L’ispirazione nasce principalmente in viaggio. Sono molto legata alla cultura e alle civiltà antiche che usano principalmente forme e colori di base. Ci sono alcuni sentimenti di base, pensieri di base, influenze di base che non sono cambiate nella nostra mente. Quindi, penso che dobbiamo tornare a quel tipo di radici, quel tipo di mondo semplificato.
Sono molto legata al design tessile, non a caso, il mio primo progetto importante nel mondo del design è stato un tappeto e da lì ho continuato a lavorare molto con aziende specializzate in tessuti, tappeti e carte da parati. È una passione probabilmente ereditata da mia madre che quando ero piccola lavorava a maglia, all’uncinetto e a punto croce. Oltre alla passione, mi ha trasmesso alcune di queste tecniche, anche se devo ammettere che non sono molto brava con le mani! Probabilmente è per questo che sono da sempre stata molto incuriosita dall’artigianato, dal fatto a mano.
Quindi, come sei diventata realmente quello che sei? Come sei diventata una designer? C’entra tua madre?
Già alle elementari mi piaceva molto disegnare, cosa che in realtà ad oggi mi riesce non più benissimo! Da piccola quando giocavo con le bambole mi preoccupavo più che altro di realizzare per loro dei vestiti. Non so quando sia arrivato il momento di scegliere un lavoro, so che, a un certo punto, ho iniziato a studiare architettura, poi sono passata all’interior design. La mia mente è sempre stata una miscellanea di interessi, un mix di equilibrio tra arte e razionalità e credo che il design sia la disciplina perfetta per far confluire tutto ciò. La carriera poi ha richiesto costanza e perseveranza: oltre alla creatività è necessaria molta dedizione, allo studio prima e al lavoro poi. La passione in questo ha aiutato molto.
Nel frattempo, sei diventata una designer di fama internazionale. Come pensi che i tuoi progetti siano percepiti a livello internazionale? Sono percepiti come tipico design italiano o ti consideri una designer italiana?
Nelle università italiane si studiano i grandi maestri di design e dell’architettura e si approfondisce in maniera rigorosa il processo che dalla progettazione porta al prodotto finale. In questo credo, e spero, che il mio approccio possa essere letto come molto “italiano”. Sotto il punto di vista della percezione il mio obiettivo è creare progetti con un linguaggio universale, che possano essere capiti e apprezzati da tutti a prescindere dalla nazionalità, dall’età e da altri fattori distintivi. Per questo motivo mi sento a mio agio a lavorare con colori, forme semplici e giocando con il lato più emozionale degli oggetti.
Ultimamente sei stata incaricata dalla città di Milano di portare più colore nei quartieri per aiutare le comunità locali e portare, si spera, il cambiamento. Quanto sono importanti per te questi progetti? E pensi davvero che il colore possa cambiare la vita in queste comunità?
Si è trattato di un approccio completamente nuovo per me: abituata a lavorare principalmente con aziende e su piccola scala, mi sono ritrovata a ascoltare in prima persona i bisogni e le necessità reali delle persone che lavorano e vivono nel quartiere.
È un ambito che mi sta appassionando molto e in cui spero di continuare a lavorare. A questo proposito, proprio la scorsa settimana sono stata invitata come speaker a una conferenza del Politecnico di Milano, sul tema del gender nella pianificazione urbana della città. Effettivamente, esiste un approccio gender anche in questi progetti perché, la maggior parte delle volte, nel campo dell’urbanistica tattica, le necessità nascono dai caregiver, che sono ancora principalmente donne.
Il primo progetto a cui ho lavorato, ad esempio, è stato Quadra, a Quarto Oggiaro, l’obiettivo era di rispondere proprio alle necessità dei caregiver, che hanno bisogno di spazi sicuri. Siamo intervenuti nello spazio davanti a una scuola elementare che ai tempi veniva utilizzato come un parcheggio. Abbiamo lavorato insieme alle famiglie e ai bambini sia in fase progettuale che nella realizzazione, a cui hanno contribuito in maniera attiva. Adesso lo spazio è diventato un’area di gioco, di aggregazione e di socialità, dove i bambini e i loro caregiver possono fermarsi prima e dopo la scuola.
Puoi spiegare un po’ il progetto che alla fine hai applicato alla grafica e ai colori, ascoltando i bisogni di questo quartiere, e come hai poi tradotto tutto ciò in quella che alla fine è una bellissima storia a lieto fine?
Per la piazza della scuola ho lavorato principalmente con i colori primari, molto basici. Il disegno è stato pensato su una griglia che seguiva le diverse funzioni della piazza, per cui ho dovuto lasciare spazio per il passaggio delle ambulanze e altre esigenze pratiche. Ho realizzato una griglia più piccola per le parti con giochi e rastrelliere per biciclette e orti, e poi una griglia ancora più piccola per il distanziamento sociale appena fuori dalle porte della scuola. Per quanto riguarda le forme e i colori, mi è piaciuto ricordare i quadretti dei fogli del quaderno con linee squadrate e forme semplici che sono le prime cose che i bambini imparano a disegnare, quando sono alla scuola primaria. Era qualcosa che penso fosse adatto a uno spazio per bambini, ma nasceva anche da una necessità, dato che dovevo fare un progetto molto semplice, con una grafica molto semplice, perché sarebbe stato realizzato non da professionisti, ma dagli stessi cittadini, studenti, genitori e volontari di altre scuole e realizzato in un fine settimana.
Cosa sogneresti davvero di disegnare? Quale sarebbe il tuo sogno che si avvera?
Mi piacerebbe lavorare più spesso a progetti di interior, ma anche a tipologie di prodotto inusuali, a volte addirittura controverse, che non sono state ancora molto esplorate dal mondo del design. Così è stato, per esempio, quando ho disegnato la collezione Nebula, composta da bong (pipe ad acqua), legate al tema della legalizzazione della marijuana.
Un altro progetto che sognerei di sviluppare è quello degli interni delle auto. Molte persone trascorrono ore nelle proprie auto ogni giorno ma l’abitacolo è ancora super standard, grigio, estremamente maschile e con opzioni di personalizzazione relativamente ridotte. Mi entusiasmerebbe molto lavorare a delle varianti in cui poter personalizzare tutto, dai colori ai tessuti.
Quindi si sta andando oltre i confini.
Vuoi spostare anche tu i tuoi confini, i confini del progetto, ma anche quelli dei tabù, i confini di chi sei come Serena.
Sì, i confini dei comportamenti. Perché penso che lo scopo del design sia anche cambiare i comportamenti. Possiamo farlo con piccole cose, con il design del prodotto, il design industriale, con l’aggiunta di funzioni, ma possiamo anche cambiare il comportamento e l’esperienza di molti spazi e luoghi.
Qual è il futuro di Serena? Qual è il tuo prossimo progetto? Cosa fai per la settimana del design milanese?
Sto lavoro con un’azienda italiana specializzata nella produzione di progetti di design di cemento, che è un materiale nuovo per me. E poi avrò due allestimenti. Uno per un evento esclusivo per un brand di un’azienda multinazionale di vernici, che si chiama Dulux. Il secondo per il lancio dei nuovi menù per il ristorante Accanto, il ristorante dell’hotel Principe di Savoia, per cui ho realizzato le nuove illustrazioni. Per l’occasione abbiamo organizzato un evento di presentazione dove le grafiche saranno protagoniste di un allestimento molto particolare, per cui ho utilizzato principalmente frutta e verdura.
Inoltre, insieme al corso che tengo alla Scuola Politecnica di Design, stiamo realizzando un altro progetto di urbanistica tattica con gli studenti che avrà come protagonista Piazza Schiavone, nella zona di Bovisa, e sarà rivelato durante la Milano Design Week. C’è ancora tanto lavoro da fare in queste settimane, sono come sempre molto curiosa di vedere i risultati finali!
NEBULA
Serena Confalonieri prosegue il suo percorso esplorativo tra autoproduzioni e realtà artigianali. Protagonista, ancora una volta, il vetro borosilicato soffiato. Dopo la collezione di bicchieri floreali Calypso e i vasi Arabesque, la designer approda ad una categoria di prodotto ancora poco esplorata dal mondo del design: quella delle pipe ad acqua o “bong”.
L’evoluzione degli stili di vita e l’utilizzo sempre più diffuso di cannabis, legalizzata in varie parti del mondo sia a scopo terapeutico che ricreativo, apre le porte a tipologie di prodotto che suscitano l’attenzione dei creativi.
La collezione Nebula di Serena Confalonieri approccia questo tema con la delicatezza e l’ironia che contraddistinguono la cifra stilistica della designer, attraverso una produzione artigianale di altissima qualità.
Il risultato sono tre oggetti dalle forme sinuose, ispirati alla leggerezza del fumo e caratterizzati da un mix di colori che richiama la psichedelia degli anni ’70. Il nome, Nebula, rimanda anche alle sfumature rarefatte tipiche delle nebulose, evocando al tempo stesso un’atmosfera fluida, invasa dal vapore acqueo.
Quadra | Piazze Aperte Comune di Milano | Via Val Lagarina
Quadra si inserisce nelle attività di riqualificazione dell’ex parcheggio di Via Val Lagarina, nel quartiere di Quarto Oggiaro, e fa parte dell’iniziativa Piazze Aperte del Comune di Milano, un intervento di urbanistica tattica. E’ stato realizzato in collaborazione con i volontari dell’associazione WAU!Milano e con gli studenti dell’Istituto scolastico antistante I.C.S. “Via Val Lagarina”.
L’obiettivo dell’iniziativa è dar vita ad un luogo ricreativo, uno spazio di gioco e di aggregazione aperto a tutti, valorizzando le aree preesistenti e favorendo una nuova fruizione da parte dei cittadini.
Il progetto ideato da Serena Confalonieri si ispira ad un concept didattico ma anche ludico, proponendo una suddivisione grafica del piazzale di 600m2 attraverso una griglia, simile a quella dei fogli dei quaderni a quadretti, da cui il titolo dell’opera.
Questa griglia è stata decorata partendo da colori primari e decori geometrici, quelli che i bambini imparano per primi e che disegnano a scuola nelle pagine dei loro quaderni.
Il layout di Quadra è stato dipinto in prima persona da studenti e volontari in occasione del lancio dell’iniziativa, l’8 maggio 2021.
All’interno della griglia, tra le forme e le campiture, sono state inserite delle aree verdi e dei giochi da terra, posizionati dalla designer nel progetto in base alle richieste degli studenti e dall’associazione dei genitori. Dama, twister, campana e le aree dedicate alla coltivazione di un orto didattico contribuiscono a trasformare l’ex parcheggio in una coloratissima oasi urbana, con l’intento di costruire uno spazio interattivo, di svago e di aggregazione.
Il layout ha dovuto tenere conto di una serie di condizioni e di richieste, come la semplicità del decoro, per permettere ai ragazzi di dipingere le geometrie in autonomia, un numero di colori disponibili limitato e un’architettura degli spazi vincolata.
La nuova geometria dell’area, infatti, si sviluppa seguendo un modulo centrale da 4 metri – per permettere il passaggio dei mezzi di soccorso – moduli intermedi da 2 metri, in cui si alternano spazi verdi e aree per giochi e attività, e piccoli moduli da 1 metro, così da favorire il rispetto delle norme di sicurezza.
In aggiunta, sono state inserite delle rastrelliere per le biciclette e piantati nuovi alberi.
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