L’intervista al noto architetto Yama Karim, partner dello Studio Libeskind, ci ha dato il suo autorevole (e personale) punto di vista sull’architettura contemporanea.
Non era una domanda prevista ma Yama Karim ha scelto di iniziare l’intervista parlando di Milano, città che conosce bene grazie al suo coinvolgimento nella realizzazione della Torre Libeskind, o Torre PwC (soprannominata il Curvo), a City Life.
«Milano è un esempio perfetto di centro città storico, fortemente radicato nella cultura europea, dove è stato possibile concepire un nuovo livello urbano. Le città non sono entità statiche nel tempo anzi, la loro qualità migliore è la capacità di trasformarsi. A volte trattiamo le città come musei e credo non serva sottolineare come spesso siamo eccessivamente protettivi con esse, assumendo che tutto ciò che è antico sia prezioso e per questo, preservato. Milano rappresenta un esempio perfetto di come sia possibile proteggere il centro storico e, al contempo, permettere alla città di evolversi e generare una nuova immagine» afferma l’architetto.
Rompere la tradizione non è semplice così come non lo è costruirne una da zero, come sta avvenendo, ad esempio, nei paesi del Golfo. Come vedi l’evoluzione architettonica di questi paesi?
Città come Dubai non hanno una tradizione urbanistica e un’estetica precisa così come un masterplan che guarda al lungo periodo. C’è stato un momento, durante la Guerra Fredda, in cui il sistema comunista aveva piani di 5, 10, 15 o 20 anni; le città come Dubai non hanno necessariamente questa prospettiva anzi, in questi paesi spesso ci si reca perché si ha la possibilità di sperimentare.
Ci sono dei rischi?
Personalmente ritengo che il più grande rischio siano gli architetti occidentali, che si recano in questi paesi e cercano di realizzare progetti locali applicando motivi che pensano siano tipici, a volte con risultati molto superficiali.
È possibile riassumere in un concetto il progetto per Baccarat?
Per l’hotel Baccarat abbiamo immaginato la torre come una serie di cristalli che emergono dal suolo, simili a stalagmiti stratificate. La forma organica è data dallo sviluppo irregolare dei livelli, con altezze variabili, che funzionalmente dividono la struttura in più parti. È come se la torre fosse composta da quattro elementi distinti che si combinano in un insieme armonico, evitando dettagli decorativi superflui.
Come sceglie i materiali?
Dietro a queste decisioni c’è un grande lavoro, soprattutto quando la pratica si basa su un approccio minimale o moderno. L’obiettivo non è semplicemente aggiungere strati di materiali decorativi, ma creare qualcosa di speciale, raccontando storie e sviluppando concetti che rendano un progetto unico.
I materiali vengono scelti non perché sono i più recenti o tecnologicamente avanzati, ma per l’idea che supportano. Il nostro modo di osservare e selezionare i materiali non si limita all’aspetto tecnologico: è fondamentale che il materiale, e la sua articolazione in facciata, contribuisca all’intero concetto. Non cerchiamo il materiale “migliore” in senso assoluto, ma quello che meglio si adatta a sostenere il nostro progetto.
Com’è il suo rapporto con la decorazione?
Non ho problemi con essa, a patto che sia funzionale al racconto della storia. Cerchiamo di trovare un equilibrio: l’espressione architettonica deve essere integrata alla narrazione e non solo decorativa.
Come si progetta oggi il lusso?
Il concetto di lusso è cambiato nel tempo. In passato era sinonimo di opulenza e materiali preziosi; oggi si tratta di unicità, personalizzazione e identità. La tecnologia, in questo contesto, gioca un ruolo essenziale. Nuove tecnologie e approcci consentono di ridefinirne il senso, rendendolo più esperienziale e legato al senso di appartenenza, piuttosto che all’eccesso.
La tecnologia plasmerà il futuro dell’architettura?
Quando arriva una nuova tecnologia, non sappiamo mai davvero come utilizzarla appieno. La sperimentiamo, la usiamo in modi diversi, ed è proprio questa pratica che ci dà dei riscontri.
Per me è l’architettura che guida la tecnologia: si parte dall’intenzione, dalla narrazione e dall’espressione.
L’uomo ha sempre desiderato costruire la cupola più grande, il ponte più lungo e questa visione di affrontare sempre nuove sfide non è una questione ingegneristica. Se lavori con la tecnologia esistente, il tuo intero design si basa su ciò che è possibile realizzare oggi, non stai aiutando la tecnologia, stai solo utilizzando ciò che già esiste.
Come si fa innovazione nel mondo dell’architettura?
E solo quando si rompono i confini e si raggiunge un certo limite che siamo davvero costretti a essere creativi. Non si tratta solo di assemblare in modo creativo ciò che è già disponibile, ma di trovare una soluzione per ciò che non è disponibile.
Vorrei conoscere la sua idea di sostenibilità.
C’è la sostenibilità visiva e quella eterna. La sostenibilità visiva è iniziata con la parola “green”: bastava aggiungere del verde agli edifici per considerarli sostenibili, ecologici o rispettosi dell’ambiente. Questo non è necessariamente vero. Per noi la sostenibilità è il modo in cui pianifichi: dove si trova il sole? Come catturi i venti? Tutti questi dettagli sono i primi passi verso la sostenibilità, perché se pensi che la sostenibilità sia solo l’applicazione di una serie di tecnologie su un edificio, allora sei nella direzione sbagliata. L’aspetto tecnologico della sostenibilità è intrinsecamente effimero: se credi che ciò che stai costruendo oggi sia sostenibile, ma il completamento richiede tre o cinque anni, la tecnologia su cui ti sei basato sarà già superata, rendendo l’edificio obsoleto ancor prima di essere terminato. Quindi gli edifici più sostenibili, secondo noi, sono quelli ben pensati dal punto di vista della progettazione, dell’intuizione e dell’orientamento. Ed è altrettanto importante, se non di più, realizzare progetti con cui le persone si relazionano e che amano davvero. Perché se ami qualcosa, te ne prendi cura.
La conservazione non riguarda solo il lasciare le cose intatte. La migliore forma di conservazione è occupare un luogo, utilizzarlo, farlo vivere.
Potrei parlare di tecnologia all’infinito, di nuovi vetri, nuovi materiali, nuove piastrelle, nuove tecniche ma è un po’ come competere per il grattacielo più alto del mondo: non vincerai mai. E il tuo edificio non sarà mai il più tecnologico. Quindi progetta edifici in modo sensato, ma rendili anche adattabili.
Questo significa conoscere molto bene il luogo in cui si progetta.
L’architettura è una questione sociale, politica, economica e deve tenere conto di tutto questo. Ecco perché il nostro studio non si riferisce al vecchio approccio modernista. La nostra architettura è universale ma non è una macchina che può essere collocata ovunque.
Chi è il suo architetto preferito?
Non puoi farmi questa domanda!
Non lo diciamo a nessuno.
Giovanni Michelucci, per la sua Chiesa di San Giovanni Battista a Campi Bisenzio, Firenze: è un’espressione che ha il puro scopo di esprimersi. Uno spazio etereo, al contempo razionale e completamente irrazionale; sembra essere la struttura più organica che si possa concepire.
Aggiungerei anche Giulio Romano, penso sia stato il primo a sfidare i motivi architettonici come elementi funzionali.