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Il recupero degli scarti di grafite genera nuove lampade

Gianpiero Alfarano

In una conversazione spontanea della quotidianità, parlare di grafite significa associare un materiale ad un oggetto: la matita. Ad essere più precisi si può fare riferimento alla cosiddetta mina, il nucleo della matita. Per un artista o un designer, per chi nel suo mestiere ne fa uso fondamentale, grafite e matita sono un tutt’uno inequivocabile per l’utilità pratica e l’espressività fluente che se ne possono ottenere. Nel workshop dello Smart Lighting Design Lab dell’Università di Firenze diretto da Gianpiero Alfarano è stata avviata una sperimentazione per trasformare un materiale destinato alla discarica in lampade “che prima non c’erano”.

Le prime, primitive matite di grafite, sono state elevate per antonomasia a strumento di eccellenza adatte al disegno da Albrecht Dürer. Disegnatore di rango e in vita già quotatissimo incisore tedesco a cavallo tra il XV e il XVI secolo, fu lui il primo divulgatore su vasta scala dell’efficacia di questo strumento come sostituto del carboncino. (A. Castagna 1980) Il primo, invece, a descrivere la grafite esattamente come elemento materico fu nel 1779 il chimico e farmacista svedese Karl Wilhelm Scheele. In quell’anno, Scheele pubblicò “Quantum aeris puri in atmosphaera sit” che è a tutt’oggi un modello di chiarezza e di acutezza scientifica. Le sue osservazioni e le sperimentazioni sulla composizione dell’aria che respiriamo lo condussero ad affermare che nell’aria è presente una parte viziata o corrotta (azoto) e una parte pura da lui definita “aria di fuoco” in quanto infiammabile (ossigeno). Questo elemento, secondo i suoi dati, risulterebbe presente nella proporzione del 25% nell’atmosfera. (K.W. Scheele 1894) Attraverso questi studi dimostrò che la grafite non era una varietà di carbone, come gli studi coevi riportavano da esperienze empiriche, bensì una forma di carbonio differente. Innescando così la ricerca sulle cosiddette varietà allotropiche del carbonio, come più tardi le definì Jöns Jacob Berzelius. (I. Guareschi, 2023) Tali ricerche si possono ritenere non ancora in una fase esaustiva per quante potenzialità inesplorate se ne intravedono. Ogni decennio che passa vengono scoperte nuove varietà allotropiche di carbonio. Oggi il loro numero ipotetico è già stimato intorno ai 500. Non esiste un altro elemento così versatile al mondo.

Le varietà di carbonio allotropico più conosciute presenti in natura sono la grafite e il diamante.
Fu questa informazione a presentarsi semplice quanto sconvolgente al giovane Alessandro Cruto che nel 1879 ascoltando all’Università di Torino una lezione di Galileo Ferraris apprende che diamante e carbone hanno la stessa origine chimica.
Da quel momento si dedicò con molto accanimento alla ricerca scientifica indirizzandosi a risolvere il problema della cristallizzazione del carbonio per l’ambizione di ottenere chimicamente diamanti.
Alessandro Cruto studia architettura, chimica e fisica da autodidatta. Dagli apprendimenti fortuiti universitari ha l’ispirazione di aprire nel 1872 a Piossasco, vicino Torino, un laboratorio per la produzione di diamanti artificiali e filamenti di carbone. Se l’ambizione dei diamanti ne diventa più che altro una velleità, la produzione di filamenti di carbone diventa un rendimento fattibile avendo nel settembre 1881 realizzato una versione di successo di questi primi filamenti sintetici.
Cruto arriva alla produzione di filamenti per aver appreso dalle conferenze di Galileo Ferraris la realizzazione di fibre di carbonio ottenute da Edison in materiali a base di cellulosa, come il cotone o il bambù, a differenza dei precursori a base di petrolio.
Cruto ben presto riuscì a realizzare una lampadina elettrica con filamento di carbonio, utilizzando, invece di fibre organiche come faceva Edison, fili di platino sottilissimi che curvati venivano introdotti in una ampolla di vetro piena di etilene. Facendo passare la corrente elettrica attraverso il filo di platino, si sviluppava del calore che provocava la decomposizione dell’etilene, con deposito di un velo sottile e duro di carbonio sul filo. Volatilizzato il platino ad alta temperatura, rimaneva il filamento di grafite purissima. Era il 5 maggio 1880 e Cruto anticipava Edison nella resistenza del filamento alla quale quest’ultimo arrivò molto dopo con l’impiego definitivo del tungsteno. Peccato che questo vantaggio o meglio che questo traguardo a Cruto non gli sia mai stato riconosciuto pienamente in quanto brevettualmente non era tutelata la durata ma il solo criterio di funzionamento dell’invenzione lampadina depositata il 27 gennaio dello stesso anno da Edison in anticipo di pochi mesi su Cruto. (V. Haziel, 2008)

Le sperimentazioni di questi anni alla ricerca del conduttore ideale per avere luce da un materiale di facile produzione tra Edison, Cruto e di altri tra cui lo scozzese Joseph Swan, hanno dato il via nella strutturazione di modalità di produzione della grafite indotta artificialmente, aumentandone notevolmente la quantità di disponibilità.
La grafite in forma di minerale naturale si trova nelle rocce di quasi ogni parte del mondo, ma si può produrre, come abbiamo visto nella corsa alla lampadina, anche artificialmente mediante il trattamento termico. Uno di questi è effettuato ad alta temperatura con l’antracite che contiene una parte consistente di carbonio nella sua composizione. (A.Iannace 2023)
La grafite per lo più identificata con il colore grigio-nero nel senso comune associato alle matite, si caratterizza con diverse e variegate prestazioni, tra cui morbidezza, untuosità, insolubilità in acqua e proprietà lubrificanti. Ne consegue un diffuso impiego nella produzione in alcuni agenti lucidanti e vernici anticorrosive, ma anche in performanti tecniche di abrasione.
Tra le virtuosità del minerale è sicuramente rilevante quella della conducibilità sia termica che elettrica. Resistendo molto bene alle alte temperature la grafite viene utilizzata per la produzione di elettrodi e crogioli, recipienti ignifughi e mattoni refrattari.
Tutto questo ne permette un impiego in molte delle più avanzate produzioni industriali, ma allo stesso tempo ne fa della sua virtuosità anche la sua stessa nocività.
La grafite, in quanto materiale di scarto quale residuo di alcune lavorazioni industriali, risulta sotto aspetti ecologici, altrettanto ingombrante quanto la sua flessibilità d’uso.
Ritenuta tra le sostanze tossiche responsabile dell’inquinamento della falda acquifera, insidia pericolosamente gli ecosistemi. (AA. VV., 2023, PGreco edizioni – pag 26)
Finora, gli scarti inevitabili della produzione industriale degli elettrodi in grafite sono ritenuti materiale inutilizzabile arrecanti un notevole impatto ecologico nella dismissione. (AA. VV., 2023, FE edizioni – p.62)
Con una certa eccezione a livello mondiale, Alisea da anni in Italia è l’azienda che ha nella propria mission il maggiore recupero di grafite possibile ponendo molta ricerca nel trasformarla in oggetti di design. La collaborazione tra Alisea e lo Smart Lighting Design Lab che dirigo presso l’Università di Firenze, ha avuto l’opportunità di avviare una sperimentazione per trasformare un materiale destinato alla discarica in innovative proposte di design di uso quotidiano “che prima non c’erano”. (alisea.it) La sinergia tra Alisea e lo Smart Lighting Design Lab, attraverso l’istituzione di un laboratorio congiunto, ha assunto la finalità di dare realtà concreta al passaggio dal recupero della grafite al progetto di nuovi impieghi del materiale per nuove prestazioni.
In pratica si è trattato di sfruttare le proprietà del materiale per ottenere oggetti che se ne giovassero il più possibile. La prestazione a cui ci siamo di più dedicati è stata la conducibilità che la grafite permette di dare sia alle alte temperature sia al passaggio della corrente elettrica.

Il riferimento basilare sono state le esperienze di conducibilità per l’invenzione della lampadina. È super-noto il ricorso alla grafite fatto da Edison nella ricerca di un efficace conduttore elettrico ad alta resistenza e che la grafite abbia dato la svolta alle sperimentazioni prima di trovare un buon filamento per la sua invenzione. Si narra che il suo assistente provò 1600 tipi di materiali tra i più disparati; perfino i peli di barba rossa di uno scozzese! Tutti bruciarono in pochi minuti. Ma Thomas Alva Edison non si scoraggiò: «Non ho fallito, ho solo trovato 1.600 soluzioni che non funzionano» ne diviene il suo motto come lascito di incoraggiamento dogmatico per ogni inventore. Grazie a filamenti fatti con cartoncino di Bristol e canna di bambù, materiali già provati da altri ben prima di lui tra cui Sir Joseph Wilson Swan che essendo scozzese del Bristol carbonizzato ne aveva già avuta esperienza a partire dal 1850, Edison poté assicurarsi la soluzione. Comunque sia andata, la prova ottenuta con la carbonizzazione di fibra di carta e filamenti di bambù, la numero 1.601 fu quella buona: era il 21 marzo 1879. (B. Reyners, 2023)
Nel nostro caso, più che la proprietà di far luce con la grafite così come dopo 1600 tentativi aveva finalmente dato soddisfazione a Edison, ci interessava la peculiarità del materiale nel praticare il passaggio di corrente.
Il vantaggio di oggi in questo tipo di prestazione della grafite si manifesta attraverso le sorgenti luminose a led che hanno bisogno di poca corrente per essere accese. Quindi oggi alla grafite non serve chiedere il suo massimo di portata di elettricità tanto da farla diventare incandescente e quindi emettere luce come aveva intenzione Edison, ma farsi conduttore per portare corrente al led. Strutture, tralicci, telai, piantane e supporti di varia forma sono sotto questa nuova corrispondenza nuove traiettorie esplorative da dedicare al design della forma di nuove lampade in cui la grafite non procura la luce ma supporta il passaggio della corrente a basso voltaggio per alimentare la luce prodotta dal led. Un processo ideativo e costruttivo rimesso sulla scia di quel che era avvenuto con la lampada Tizio di Richard Sapper prodotta nel 1972 da Artemide. Lampada, tra le più vendute e famose al mondo, che utilizzando la tecnologia delle sorgenti alogene (i led ancona non c’erano) alimentate a corrente continua di 12 Volt si prestava a dare alla struttura in metallo la funzione di conduttore di corrente. La Tizio si può definire la prima lampada senza fili, con bracci a fungere da conduttori dell’energia elettrica a basso voltaggio. (H. Hoger, 1997)

Sfruttando proprio il principio della conduttanza trasmissibile alla lampada attraverso la struttura evitando i fili, anche nel caso della grafite si è ottenuto realizzabile il passaggio della corrente elettrica a basso voltaggio. Contando su questa predisposizione della grafite sono stati progettati e realizzati presso lo Smart Light Design Lab, alcuni prototipi di lampade in cui la grafite costituisce l’elemento fondamentale del processo Upgraded Recycled Graphite che Alisea adotta per realizzare lo Zantech (patented by Alisea). Un materiale esclusivo composto per l’80% da polvere di grafite riciclata e per il resto da un particolare composto brevettato che dà accesso ad un innovativo processo produttivo. La grafite viene recuperata interamente dallo sfrido della produzione industriale degli elettrodi e viene trasformata in granuli senza l’aggiunta di vernici protettive, colle o lavorazioni successive evitando qualsiasi impatto sull’ambiente.
Nelle lampade progettate dallo Smart Light Design Lab, lo Zantech è stato pensato come materiale strutturale che dà forma alla lampada garantendo dalla stessa la conduzione elettrica senza ricorso a cablaggi. I prototipi realizzati sono un primo risultato di rimpiego virtuoso della grafite in oggetti che possano contenerne una certa quantità volumetrica rilevante. Un risultato notevole che apre nuove prospettive per un materiale ritenuto a fine vita dopo un uso primario.
Nella sostanza del caso, la grafite si presta a prendere forma nei modi più creativi che una struttura possa avere per contenere la sorgente illuminante costituita da led. Libere da fili e cavità interne per il loro obbligato passaggio, funzionando per contatto diretto tra materiale conduttore e sostegno dei led, avendo anche la possibilità di ideare e progettare forme inedite con stampanti 3D, questa nuove lampade hanno potuto assumere aspetti e tipologie non stereotipati aprendo la strada a nuove libertà formali se non addirittura a nuove tipologie di apparecchi illuminotecnici. (G.Alfarano 2021)
I prototipi sperimentali dello Smart Light Design Lab, oltre ad aprire una traiettoria verso nuovi concetti di lampade e verso nuove possibilità di illuminare, si proiettano verso un futuro più consapevole del rispetto per l’ambiente e verso un recupero virtuoso nel ridare forma e nuova vita a ciò che i contemporanei e convenzionali criteri di utilizzo ritengono solo uno scarto.

Riferimenti bibliografici in ordine di apparizione:
G. Alfarano, 2021,“Design tra Ego ed Eco”, rivista AND, vol. 39
A. Castagna, 1980, “Albrecht Dürer e la grafica tedesca del ‘500”, Societa Editrice napoletana
K.W. Scheele, 1894, “The Discovery of Oxygen”, digitalization 2011, University of Chicago Press
I. Guareschi, 2023, “Jons Jacob Berzelius e la sua opera scientifica”, ed. Culturea
V. Haziel, 2008 “Il signore della luce – Alessandro Cruto e la storia dimenticata della lampadina italiana”, ed. N. Arango
A.Iannace, 2023, “Storia della terra”, ed. Laterza
AA. VV, 2023, “Ecologia, ambiente territorio”, PGreco edizioni
AA. VV., 2023, “8 Riflessioni sulla Trasformazione”, FE edizioni
B. Reyners, 2023, “Thomas Edison – Le grandi invenzioni di un genio insaziabile”, ed. 50Minutes.com(IT)
H. Hoger, 1997, “The Tizio – Light by Rochard Sapper”, ed. Art Book International Limited

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