Finiture Green

La transizione estetica

Alessandro Longo, Lombardini22

Nuove responsabilità, nuovi involucri: la nuova era del «facade design» deve reclamare, accanto a ricerca e sviluppo di materiali e tecniche di costruzione, un rinnovo dell’estetica dei building.

Il cambiamento climatico in corso, che riecheggia sempre più come un grido urgente lanciato da un pianeta in caduta libera verso la distruzione dell’umanità, richiede – come suggerisce Stefano Caggiano nel suo articolo per Interni – la «definizione di una nuova alfabetizzazione del gusto, che aggiorni i codici del progetto in funzione della salvaguardia dell’ambiente vissuto e costruito».
In quanto architetto, ritengo di avere una grande responsabilità nei confronti degli involucri edilizi. La mia impressione è che nel mondo dell’architettura e delle costruzioni troppo spesso azioni esteticamente provocatorie siano povere di sostanza e celino la mancanza di un reale orientamento verso la transizione energetica dietro scelte visibilmente inebrianti.
Ma possiamo parlare di transizione estetica? Perché si concretizzi, il bello, l’armonia devono essere accompagnati da una performance, e con questa dialogare per ricercare un equilibrio tra sobrietà dell’immagine e prestazione ambientale. La nuova era del facade design deve reclamare, accanto a ricerca e sviluppo di materiali e tecniche di costruzione, un rinnovo dell’estetica dei building.
Rinnovare significa modificare linguaggi e, per farlo, è necessario integrare e adattare, inserendo nell’abaco di connotati estetici convenzionali nuove combinazioni, che riflettano un mondo in evoluzione e diano un messaggio positivo ai progettisti degli edifici di domani.
Oggi come progettiamo gli involucri edilizi? Per stimolare questa riflessione, sono partito dall’osservazione di come è cambiato il design di altri involucri. Oltre quarant’anni fa la Luna Rossa, lo smartphone o la scocca della Formula 1 avevano tutt’altro aspetto e hanno vissuto un eccezionale processo di perfezionamento tecnico, tecnologico e di utilizzo dell’involucro. Lo stesso non potremmo dire per lo skyline delle nostre città: da New York a Milano, nelle grandi metropoli del mondo, decenni fa come oggi, continuano a svettare grattacieli in vetro a filo.

La progettazione di involucri edilizi si trova in una fase di stasi, incapace di raccontare il cambiamento climatico in atto, di compiere uno sforzo comunicativo in più, perché adagiata su soluzioni standard pensate unicamente per l’adempimento di obblighi e normative.
Eppure, una transizione estetica nella filiera delle costruzioni può e deve avvenire. Per farlo, bisogna superare normative ormai obsolete, come la Legge 10 del 1991 che governa gli involucri, e fare ricorso a creatività, intelligenza, curiosità; integrare competenze nuove ed esplorare possibilità tecnologiche avanzate – pur senza rinunciare a percentuali di trasparenza e riflessione – per lanciare un messaggio nuovo.
Prendiamo a esempio i pannelli fotovoltaici: l’integrazione di questi elementi in facciata rappresenta una sfida che conduce a una transizione estetica interessante, dove l’aspetto dei building cambia e si evolve. Ad Abu Dhabi c’è chi si è spinto addirittura oltre, immaginando una facciata più simile a un essere naturale che a un elemento architettonico, capace di aprirsi e chiudersi a seconda di come viene raggiunta dal sole.
Ma ci sono anche normative che stimolano e accelerano il pensiero favorendo l’interazione tra componente umana e naturale, come la UNI EN ISO 52016-3, che presenta le procedure per considerare l’effetto di tecnologie di involucro edilizio adattivo nel calcolo dei fabbisogni energetici, o indici dell’UE per la valutazione della predisposizione degli edifici ad accogliere e utilizzare le tecnologie intelligenti digitali.
In Lombardini22, la società di progettazione integrata in cui lavoro, diciamo sempre che l’involucro deve garantire performance evitando un doping impiantistico. Cosa significa? Che non deve introdurre nuova energia, ma fare in modo che se ne consumi il meno possibile. L’edificio di Zucchetti Village a Lodi, da noi progettato, ne è un esempio: costruito sull’esistente, viene disegnato con una struttura portante ibrida in cemento armato e legno lamellare, schermando le due facciate più esposte, e protetto con un’ossatura sempre in legno elegante e raffinata, che si fa architettura con una forza comunicativa dirompente.

Per portare a una nuova esperienza estetica degli involucri edilizi nativa del mondo sostenibile, credo sia essenziale educare il cliente, definire un rapporto nuovo con il committente e la filiera affinché l’assunzione di responsabilità sia condivisa. Una sfida fondamentale per la transizione verso nuovi paradigmi economici, produttivi, sociali e culturali.
Il prodotto sostenibile non deve essere solo una copia impoverita di quello non sostenibile, ma anzi deve essere più bello, esteticamente più forte e convincente, generando un “effetto wow” che risiede nella sobrietà e in involucri più compatibili con la nostra esistenza sul pianeta.
I maestri dell’architettura del passato lo sapevano: giocavano sul dettaglio, sulle proporzioni, sull’impaginato di facciata per creare un risultato sorprendente!
Sarà proprio questo il ruolo della transizione estetica: lavorare sulla bellezza della sostenibilità per tenere insieme necessità della soluzione e libertà della scelta.