Intervista a Michele Rossi, co-fondatore dello studio di architettura Park Associati su progetti in corso, visioni future e sul ruolo dell’architetto nella società di oggi.
L’aspetto materico detta la progettazione, non è mai qualcosa che viene dopo ma è parte integrante del processo stesso». Esordisce così Michele Rossi alla mia domanda su come, e in quale momento, inizia il ragionamento sull’utilizzo dei materiali applicati al progetto. Park Associati nel suo percorso di crescita ha sistematizzato una serie di figure specializzate, mi spiega Rossi: «da 5 anni abbiamo in squadra un professionista dedicato alla libreria materiali che è consulente interno per tutte le scelte di materiali, soprattutto laddove cerchiamo di introdurne di innovativi. A lui si affianca una figura, altrettanto specializzata, che indica la strada su come usare un materiale nuovo oppure usarne uno già consolidato ma in modo diverso. Lavorando su diverse scale, alcune tecniche che sviluppiamo per gli interni, vengono poi replicate per l’architettura».
Un esempio di come il materiale, a volte, dirige la progettazione è Open 336 nel quartiere Bicocca a Milano dove il cemento alleggerito GRC (Glass Reinforced Concrete) dell’edificio si tinge di colore rosso mattone per richiamare il contesto industriale in cui è inserito.
L’uso di materiali sostenibili o il recupero di materiali che derivano da demolizione è un tema delicato che non prescinde solo dal budget ma anche dalla mentalità del committente. E’ necessario introdurre materiali sostenibili o di riciclo nella progettazione anche se al momento possono essere più cari perché, iniziando ad usarli e a testarli sui progetti, si innesca un fattore di comunicazione e di formazione utile a tutti.
Chi si può permettere l’utilizzo di materiali innovativi, bio-based, non considera questi come materiali intrinsecamente lussuosi. Bisogna avere la capacità culturale di vedere in questi materiali un’idea più contemporanea del concetto di lusso. «Per fortuna iniziano ad esserci attori con grosse disponibilità economiche che considerano il lusso qualcosa di strettamente legato alla sostenibilità; l’aspetto comunque più interessante è far diventare questi materiali mainstream. Saremo comunque obbligati con il tempo, ma prima lo facciamo meglio è» commenta Rossi.
L’allestimento per il Fuori Salone di Milano che Park Associati ha curato per Mosca & Partners, ad esempio, prevede l’uso di mattoni di canapa prodotti in Puglia che, una volta superato l’evento, verranno riutilizzati per il 90% in un progetto in Piemonte.
Come spiega l’architetto «spesso questi nuovi materiali richiedono budget più alti. Noi come studio cerchiamo di essere educatori e sensibilizzare su alcuni temi ma c’è ancora molta superficialità e spesso le richieste si trasformano in rinunce quando si comprende che si deve accettare un processo più complesso e costoso. Per l’ex Hotel Michelangelo invece, abbiamo una committenza che ha accettato di spendere un po’ di più e di affrontare questa complessità. Per la prima volta in Italia un edificio è stato decostruito, invece di essere demolito in maniera classica, attraverso una tecnologia tutta Made in Italy che permette di sezionare gli elementi dell’edificio rendendo molto più facile il recupero dei materiali. Una decostruzione che impatta meno anche durante il processo: meno polvere e meno rumore».
Una modalità apprezzabile e virtuosa che però incide all’incirca del 20-30% sui costi e può essere prevista solo su edifici di grandi dimensioni, dato che portare questa tecnologia in cantiere è già di per sé molto costoso, quindi si ammortizza solo nel caso di demolizioni di edifici di una certa dimensione.
Uno degli aspetti sui cui Park Associati sta ponendo sempre più attenzione è quello del recupero dei materiali e dell’urban mining. Anche qui chiedo a Rossi di calare a terra questo concetto: «l’esempio migliore è ancora l’ex hotel Michelangelo dove abbiamo recuperato e riciclato il maggior numero di materiali come cemento, ferro, alluminio, vetro e ben il 70% delle piastrelle di klinker che verranno poi riutilizzate nella parte di paesaggio della piazza e nella hall di ingresso del nuovo edificio. Non solo un modo sostenibile di uso dei materiali ma anche un’eredità visiva di quello che c’era prima».
Il tema delle risorse presenti nelle città sarà sempre più attenzionato. Le risorse diminuiscono e le città stanno cambiando; molti edifici non assolvono più alle funzioni richieste un tempo – quelle industriali ad esempio – e diventano una risorsa di materie da cui attingere.
A Rossi chiedo un suo punto di vista sull’urban mining e come si posiziona l’Italia rispetto a questo concetto. «Abbiamo fatto una ricerca molto approfondita su questo tema; ci sono realtà nel Nord Europa dove si tende a riutilizzare persino le facciate e molti elementi dell’edificio mentre in Italia questa pratica si scontra con la normativa, a cui non si può dare del tutto torto. Riciclare una facciata negli anni ‘70 è un controsenso, non solo perché la legge non lo consente, ma perché si rimettono in moto elementi datati da un punto di vista energetico. È un paradosso. Tornando al progetto dell’ex hotel Michelangelo, stiamo cercando di monitorare quanto riusciamo a riciclare. Il cemento, ad esempio, per normativa ha una percentuale riciclabile fino al 30% laddove viene riutilizzato per le strutture; noi stiamo cercando di andare oltre e usarne di più per gli elementi non strutturali, come ad esempio i sottofondi».
A chiusura chiedo a Rossi la sua visione nella progettazione del rapporto tra interno e esterno dell’edificio. «Lavorando su scale diverse, quando riusciamo a intervenire su entrambi gli aspetti, troviamo che ci sia una maggiore qualità finale. Tendiamo a non progettare scatole vuote, anche perché l’interno spesso va a influenzare l’esterno. Non solo, per noi è determinante capire il contesto in cui si inserisce l’edificio. Da 4 anni abbiamo un dipartimento dedicato al paesaggio: ci siamo resi conto che realizzare un edificio decontestualizzato da ciò che c’è intorno impoverisce il progetto mentre avere la possibilità di lavorare integrando il disegno delle aree esterne pubbliche a quello dell’edificio, gli dà una forza maggiore».
L’architetto è quasi un mediatore culturale, soprattutto quando lavora su spazi pubblici. Deve comprendere bene dove progetta anzi, «è forse la caratteristica su cui, penso, siamo più bravi noi di Park Associati» commenta Rossi che ribadisce: «l’ascolto della città, del cliente, delle normative, delle comunità che si affacciano sul nostro spazio è una fase importantissima. L’architetto deve sempre partire da questo, altrimenti si arriva a un progetto che dialoga poco con territorio e ha solo un aspetto narcisistico, egoriferito. L’architetto ha un ruolo sociale diverso, deve mettere da parte gli aspetti personali per essere più aperto alle suggestioni esterne. L’architetto deve saper mediare, non deve imporre».
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