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L’architettura è (anche) una questione olfattiva

Francesca Motta

Grazie al naso riusciamo a percepisce spazi, immagazzinare ricordi, orientarci e emozionarci. Settori come il retail e l’hospitality hanno già intravisto nel livello olfattivo una dimensione invisibile da esplorare.

Per delineare un quadro del design olfattivo, non si può fare altro che partire dalle neuroscienze. È grazie alla scienza, infatti, che oggi possiamo saperne di più sull’impatto di un’esperienza olfattiva sui nostri comportamenti.
Per caprine l’importanza basta sapere che un’immagine olfattiva è 80 volte più forte di quella visiva. «Chi presidia un odore, una fragranza, presidia anche le emozioni» scriveva Patrick Süskind, non andando molto lontano dalle evidenze scientifiche di oggi.
Anche se non è sempre stato così.
Il senso dell’olfatto ha subìto, nei secoli, i suoi alti e bassi. Come spiega Anna Barbara, architetto e professore associato in Interior e Spatial Design alla Scuola del Design del Politecnico di Milano, «il XX secolo è stato definito “secco”. D’altronde il XIX secolo aveva portato la tubercolosi, malattia legata all’aria sporca, inquinata e con lei la fobia dei modernisti di usare materiali che non avessero memoria olfattiva, privilegiando pietre e cementi. Solo l’architettura del nord Europa mantenne nel design i legni resinosi e con caratteristiche olfattive decise. Nel duemila arrivò la svolta e, da quel momento, si è visto in architettura il ritorno dell’aria umida e la riscoperta degli odori».
Fragranze e essenze sono oggi trattate come vero e proprio elemento di design, anche a fronte delle conoscenze acquisite dalla scienza. «Oggi siamo sicuri che esistono degli odori che producono melatonina o dopamina, altri che la riducono, pur tenendo in considerazione che c’è sempre una componente culturale e soggettiva molto forte legata alla natura degli esseri umani» afferma Barbara che ribadisce «se si elimina l’olfatto perdiamo il 50% di conoscenza immagazzinata nel nostro cervello, soprattutto quella dei primi tre anni di vita. Una perdita piuttosto grande».
Mentre le neuroscienze lavorano per acquisire sempre più dati e studi, le evoluzioni in questo campo corrono anche sul filo della tecnologia. Come spiega la docente «uno dei grandi temi in corso è quello di trasferire gli odori, attraverso le tecnologie digitali, da un luogo all’altro. Esattamente come il suono e le immagini, gli odori potranno essere inviati attraverso gli smartphone anche se oggi le tecnologie non sono ancora del tutto pronte. Rispetto all’immagine, la ricostruzione di una molecola olfattiva ha molte più dimensioni ma, a breve, si potranno mandare messaggi olfattivi così come oggi mandiamo audio».

Come si progetta con l’olfatto

La coerenza deve essere una delle priorità per chi realizza progetti di design olfattivo. «Come studio di architettura utilizziamo l’olfatto come elemento di design per creare spazi fruibili anche dalla mente. È necessario dare nuovamente lustro a questo aspetto della cultura occidentale che si è quasi diseducata all’odore, avvitandosi attorno all’idea del white cube, la galleria d’arte di fine novecento dove il must era lo spazio bianco, completamente anonimo e anosmico» spiega Elena Gregori, architetto e olfactive designer di Atmos, il brand di Lombardini22 dedicato alla progettazione di spazi sensoriali.
L’olfatto è un senso molto potente e viene spesso utilizzato come vicario, sfruttato, ad esempio, da persone non vedenti per la costruzione del mondo intorno a sé, quasi fosse un gps. Il design olfattivo viene infatti sempre più spesso utilizzato nel design for all per rendere più fruibili e inclusivi gli spazi architettonici. «Nei nostri progetti olfattivi non ci limitiamo a portare odori ma a gestirli in modo ponderato, arrivando a volte allo zero olfattivo» spiega Gregori.

Le firme olfattive

Molte aziende hanno colto l’importanza di dotarsi, anche, di un logo olfattivo che rispecchi il brand. Non una semplice profumazione ma la costruzione di un vero e proprio paesaggio o esigenza olfattiva. In passato abbiamo già assistito, nel retail, all’utilizzo di fragranze che hanno caratterizzato le esperienze di acquisto. Si pensi a Abercrombie e al bombardamento olfattivo che si sperimenta nei suoi negozi dove viene nebulizzata una forte fragranza attraverso il circuito di raffreddamento, e ancora Benetton e la sua profumazione fresca associata al colore verde, coerente con il logo dell’azienda.
Dal progetto alla pratica, il lavoro dell’olfactive designer è conoscere e modulare famiglie olfattive con l’obiettivo di trasmettere un’immagine a fronte di un brief dato dalla committenza. Una volta definite, il naso profumiere crea di fatto la fragranza. «Una famiglia floreale e orientale è associata all’idea di un brand sofisticato, classico, complesso, elegante e strutturato. Una famiglia fresca, aromatica, con note piccanti, agrumate, dà invece un’idea di un contesto giovanile, contemporaneo, frizzante, informale, casual. Si gioca con le famiglie olfattive fino a ottenere l’immagine più rappresentativa per il brand o adatta a uno spazio. Anche Lombardini22 ha la sua firma olfattiva, realizzata in collaborazione con Pierre Negrin, noto creatore di essenze» specifica Gregori.

Il paesaggio olfattivo negli spazi

Una volta definito il paesaggio olfattivo, si dovrà declinare e diffondere negli ambienti secondo uno specifico progetto di spazi sensoriali. «Non si tratta banalmente di mettere del profumo in un ambiente in modo omogeneo. A volte è necessario creare degli spazi di sosta per i sensi oppure dividere ambienti solo a livello olfattivo. Un esempio classico è il centro commerciale dove si passa da una boutique di abbigliamento a un punto ristoro, senza soluzione di continuità. Quando si è all’interno del negozio non è gradevole sentire l’odore di pizza appena sfornata, mentre lo è se si è in prossima di una food court. È quindi necessario studiare dal punto di vista architettonico lo spazio e definire la scent line, la linea del profumo, dove ci saranno momenti nei quali il profumo sarà sentito in maniera viva, efficace, mentre altri dove invece ci sarà un momento di pausa» spiega l’architetto.
Lo sviluppo delle fragranze per ambienti è una derivazione della profumeria alcolica, con la differenza determinata dall’utilizzo moderato di essenze naturali a favore di molecole sintetiche. «I componenti di sintesi sono infatti meno costosi, più facilmente reperibili e subiscono meno la speculazione delle essenze naturali» spiega Dario Terzi, direttore Italia di Robertet Group, azienda leader nel mondo per la produzione di essenze naturali e non, a cui si rivolgono molte realtà produttrici di fragranze per ambienti.
Esistono comunque diversi materiali, in particolare legni che, per loro natura, emettono specifiche profumazioni ampiamente sfruttate in fase di progettazione. «Dove possiamo prediligiamo il legno naturale, come ad esempio il cirmolo, tuttavia non sempre possiamo sfruttarne a pieno le caratteristiche per esigenze normative. In questi casi integriamo con diverse soluzioni, tra cui l’inserimento di vegetazione particolare» spiega l’architetto Gregori.
Il profumo viaggia infatti con l’aria e l’umidità. Anche indoor, uno stratagemma è quello di progettare la creazione di isole verdi, più umide, dove la qualità dell’aria è diversa ed è più facile veicolare le fragranze.
Per l’outdoor Lombardini22 sta studiando essenze arboree capaci di creare suddivisioni tra strada e parco, attraverso filari stratificati con essenze odorose diverse con fioriture costanti durante l’arco dell’anno. Con questo stratagemma si crea una barriera naturale all’inquinamento e emozioni a livello olfattivo.
Sempre più spesso nei grandi progetti di ristrutturazione integrali di hotel e negozi, viene richiesto lo sviluppo della componente olfattiva. Questo deriva dalla crescente consapevolezza che la profumazione, oltre a dare sensazione di cura del dettaglio, è qualcosa di inaspettato che incide positivamente sul ricordo dell’esperienza. «Stiamo pensando a una fragranza per un hotel immerso in un grande parco. La committenza ha chiesto di ricreare una profumazione capace di ricalcare l’essenza odoristica del paesaggio circostante, non solo per creare continuità tra interno e esterno ma anche per trasformarla in un gift a ricordo del soggiorno».
Un altro esempio in corso d’opera è la creazione di una nota olfattiva per la camera dedicata a Fellini all’interno dell’Eco Mood Hotel di Rimini, in apertura a fine dicembre. Lombardini22 ha progettato la stanza Onirica, ispirandosi al mondo felliniano progettando, oltra alla fragranza, anche lo strumento di diffusione.
Da un punto di vista tecnico, ci sono diversi modi di diffondere fragranze specifiche. Molti hotel, ad esempio, utilizzano fragranze microincapsulate che finiscono in lenzuola e salviette o negli spazi comuni. Come spiega Duccio Ruggeri di Druckfarben «la microincapsulazione è una tecnologia che permette di contenere all’interno di una sfera microscopica una o più sostanze liposolubili e proteggerle dagli agenti esterni. Questo rende possibile l’utilizzo di fragranze anche all’interno di vernici».
Un tentativo, forse troppo anticipatore, è stato fatto da Milesi, qualche anno fa, con una linea dedicata di vernici profumate che non ha avuto grande seguito, al contrario invece della stampa serigrafica nella quale gli inchiostri dei packaging sono arricchiti da essenze che anticipano la profumazione del contenuto, sia essa la confezione di un profumo o di un pacco di biscotti.

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