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La definizione di “sinestesia” della Treccani recita: “Nel linguaggio della stilistica e della semantica, particolare tipo di metafora per cui si uniscono in stretto rapporto due parole che si riferiscono a sfere sensoriali diverse (per esempio, silenzio verde nel sonetto «Il bove» di Carducci, colore squillante, voce calda)”.
L’etimologia della parola “sinestesia” risale al greco syn-aisthanestai, dall’unione di syn, “insieme”, e aisthánomai, “percepisco”, da cui il suo significato, cioè “percepire insieme”.
La sinestesia infatti, quando è intesa come figura retorica, indica l’associazione di due parole che appartengono a sfere sensoriali diverse, spesso sostantivo e aggettivo. Per esempio, il sostantivo potrebbe riferirsi all’ambito della vista (colore) e l’aggettivo a quello del tatto (caldo). I due termini si rifanno a sensi differenti e ciò determina un senso di straniamento che è anche la forza alla base di questa figura retorica.
La sinestesia non vive solo nei testi dei poeti, infatti sembra che alcuni artisti avessero la “capacità” di percepire il mondo in modo sinestesico: Kandinskij viveva una contaminazione sensoriale tra suoni, musica e colore; Stevie Wonder associava i suoni a particolari colori; Van Gogh collegava la tecnica di alcuni pittori ai suoni degli strumenti. Queste esperienze plurisensoriali, sapientemente evocate dagli artisti del passato, sono diventate un elemento caratterizzante dei nostri tempi: essere immersi in stimoli sensoriali differenti è un’esigenza della sensibilità odierna.
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