Parliamo tanto di sostenibilità nell’industria, soprattutto del ciclo di vita dei materiali e produzioni etiche. Però spesso non pensiamo che i nuovi modelli di business che nascono da queste visioni – e che spesso presentano processi veramente rivoluzionari per l’industria, richiedono nuovi approcci anche nelle industrie più tradizionali. Questa realtà si esprime nel quotidiano di una innovativa start-up del mondo dei trasporti che si propone di instaurare una cultura della circolarità a livello globale, con l’obiettivo di ridurre al minimo gli sprechi.
Il progetto di Peec Mobility è la riconversione di flotte di veicoli su larga scala per garantire la sostenibilità finanziaria e avere il minore impatto possibile sull’ambiente.
Ad esempio a Dubai, che è la sede principale dell’azienda, vengono recuperati i veicoli collettivi, come autobus e taxi, che sono generalmente utilizzati per un tempo limitato per motivi di efficienza, tra 4 e 7 anni (il tempo dipende da una serie di fattori), pur essendo ancora funzionanti.
Abbiamo chiesto a Clara Bartholomeu, lead CMF designer, maggiori dettagli del progetto e di spiegarci il suo ruolo.
Puoi raccontarci quali sono le principali direttive di questo progetto?
Il progetto prevede di recuperare questi veicoli, in primo luogo sostituendo la tipologia di propulsore, allo scopo di introdurre un nuovo modo di muoversi. Oltre a sostituire il motore, il progetto prevede la revisione completa di quello che chiamiamo il “look and feel”, quindi esternamente e internamente andiamo a incidere o cambiare i pezzi fondamentali per una nuova e migliore usabilità e anche percezione della vettura.
In pratica recuperate e rinnovate mezzi dismessi, convertiti da motore endotermico a motore elettrico, cosa che prevede la totale riprogettazione sia meccanica che di carrozzeria, internamente e esternamente, anche dal punto di vista del colore e dei materiali?
In realtà lavoriamo su una configurazione diversa, dato che quello che viene mantenuto non è stato progettato per il motore elettrico, deve essere completamente ripensato: viene applicata non solo tutta la nuova tecnologia di trazione, ma anche una configurazione complessiva che renda rinnovata la percezione del mezzo. Non cambiamo o rivestiamo tutta la superficie anzi, la nostra implementazione è molto mirata e ragionata per ottenere il massimo con il minimo intervento, quindi nelle parti principali, quelle più critiche, rivestiamo, cambiamo, però conserviamo il massimo possibile i pezzi originali per creare meno spreco.
Certo, bellissimo, è proprio un’idea di recupero, riutilizzo, un po’ come se fosse un’economia circolare.
Esatto, assolutamente, secondo me PEEC nasce proprio dalla voglia di innovare il settore dell’auto, ad esempio attraverso il riutilizzo di pezzi di altissimo valore (come il chassis), in modo da evitare anche processi ad alto impatto energetico come il riciclo. Questo pone delle sfide a livello di ingegneria ma anche di design – e ovviamente di CMF.
È progettato e prodotto tutto a Dubai?
Sì, PEEC nasce come realtà locale, dall’idea di far vedere il potenziale della zona MENA (Middle East e North Africa), anche se il business model ha un potenziale enorme, che consentirà nel futuro di essere replicato in altre zone geografiche, in altri paesi.
Forse a Dubai e nelle zone limitrofe l’idea è ancora più rivoluzionaria, perché abitualmente si pensa che in quei paesi ci sia più attenzione nei confronti dei motori che utilizzano i combustibili tradizionali, piuttosto che macchine elettriche, quindi l’idea è ancora più d’impatto sul progetto.
Sì, è sicuramente un progetto molto d’impatto per la zona, dove anche il concetto del repurposing a Dubai è controcorrente: la strategia dominante infatti è quella di privilegiare il nuovo, l’innovazione, però effettivamente abbiamo anche una serie di aziende, una serie di stakeholder che sono in realtà molto interessati ai progetti innovativi anche rispetto alla sostenibilità, quindi c’è un terreno fertile per lo sviluppo di nuove idee e c’è chi vuole investire in progetti con al centro la sostenibilità.
In questo progetto quale è il tuo ruolo? Di cosa ti occupi esattamente?
Come CMF designer mi occupo principalmente di ricerca su processi, materiali, nuove finiture, tutto quello che possa in qualche modo essere collegato alla nostra visione. Cerchiamo infatti di allineare quello che scegliamo e applichiamo. Gran parte dello studio da parte mia e di tutto il team è quello di rendere quest’auto e tutto il suo processo produttivo rispondente alla visione del progetto, di ridurre spreco, di impattare il minimo possibile, ottenendo comunque un risultato di altissima qualità. Porto la mia visione, appresa durante gli anni di studio al Politecnico di Milano e durante l’esperienza lavorativa da Baolab, che è quella di avere un approccio strategico, avere cioè uno sguardo sulle opportunità che nascono dalle collaborazioni con partner che potrebbero essere meno usuali ma con cui è possibile creare delle sinergie in funzione di una strategia comune.
Ho imparato negli anni che, per raggiungere questo obiettivo, è imprescindibile creare rapporti molto intensi e di collaborazione internamente ed esternamente. All’interno dell’azienda, il CMF dialoga con tutti i team, sia di ingegneria che di validazione dei fornitori. Esternamente, ci sono diverse collaborazioni in tutta la catena di produzione che vengono studiate anche da noi – un esempio pratico è l’analisi della capacità dei nostri potenziali partner di riciclare i materiali utilizzati.
C’è poi anche un aspetto molto importante di controllo delle prestazioni, perché stiamo parlando di un’auto quindi non tutto va bene, ovviamente. Un settore spesso conservatore, in cui aspetti tecnici e economici sono spesso la priorità, è importante saper gestire tutti questi elementi.
Qual è il tuo processo progettuale?
Si parte da un oggetto che non è di scarto, ha solo la necessità di conversione d’uso, è un oggetto integro e di tantissimo valore materico. Prima di tutto bisogna conoscere il processo di conversione e tutti i pezzi da cui è composto questo prodotto, oltre che il modello iniziale, e successivamente lavorare su quello che può diventare il progetto definitivo applicando la filosofia di Peec.
Il mio processo progettuale, che viene anche applicato a Peec, comprende diversi aspetti cruciali. La sostenibilità è spesso messa al centro, dalla materia prima fino alla fine del ciclo di vita, considerando diversi aspetti: provenienza delle risorse, processi di trasformazioni necessari per fare il prodotto finito, resa e impatto nella fase d’utilizzo e molto altro. Sbaglia chi pensa che il CMF designer si fermi alla creazione di palette cromatiche! Per esempio anche i processi e le operazioni, dalla manifattura alla installazione dei pezzi, devono essere esaminati dal CMF designer – tutto quello che impatterà sull’utilizzo di risorse ambientali (come energia o acqua, per esempio) e economiche del business (tempo e forza di lavoro, accettazione sul mercato).
Il mio ruolo è il perfetto “sweet spot” tra la l’istinto creativo, la conoscenza tecnica e la sensibilità per stabilire dialoghi con gli utenti che ruotano intorno al prodotto e alla produzione.
Il processo in sé sicuramente cambia in base alle esigenze, ma direi che può seguire un modello simile a quello del “design thinking” rappresentato dal “double diamond”, il classico processo di design: si crea il brief in collaborazione con tutti i nostri player interni, in cui vengono segnalate tutte le diverse priorità.
Si raccolgono informazioni, si fanno ricerche sugli utenti, si identificano le loro esigenze e si esplorano le opportunità. L’approccio è divergente, si esplorano molte possibili direzioni senza pregiudizi. Si identificano i principali insight e si formulano i requisiti del progetto.
Infine, si seleziona la soluzione migliore, si affinano i dettagli e si implementa la soluzione finale. Questa fase include anche la prototipazione, che è molto importante, oltre alla valutazione dell’impatto del progetto.
Ci puoi raccontare di più sulla prototipazione?
Questa è una parte essenziale del processo di design, in generale, ma soprattutto di una pratica legata alla sensorialità. Per quanto si disponga attualmente di tecnologie avanzate, il miglior modo per capire veramente l’effetto di un prodotto è vederlo alla luce reale, toccarlo con la nostra pelle e percepire la dinamica delle superfici in base a diverse condizioni anche di temperatura. La materia è viva, pure se non organica – cambia e si trasforma costantemente, e per capire questi movimenti bisogna metterla alla prova sempre. In questo momento stiamo testando, per esempio, un adesivo PPF colorato specifico, che presenta una tecnologia molto durevole perché, come sapete, l’ambiente di Dubai è piuttosto “difficile”. I test sono quindi fatti in diverse condizioni, in collaborazione con un partner specializzato in questo tipo di finitura che sarà coinvolto nel processo dall’inizio alla fine.
Il progetto si limita al riutilizzo di auto?
No, PEEC si vuole concentrare su quello che chiamiamo spaces on wheels, quindi tutto quello che si muove e che crea uno spazio che si muove. Quindi abbiamo iniziato dall’auto, perchè è una necessità locale importante ma ci saranno a breve altri progetti come l’autobus e come altri mezzi di trasporto che stiamo sviluppando.
L’importante è che abbiano delle ruote, e che migliorino la vita nelle città.
IL #CFMEXPERT CLARA BARTHOLOMEU:
Clara Bartholomeu è una designer specializzata nel CMF design (Color, Material, Finish). Dopo aver maturato un’esperienza significativa presso Baolab, un rinomato studio italiano, dove ha approfondito l’applicazione di questi temi anche nel Transportation Design, ha iniziato a collaborare con Peec Mobility. Questa startup di Dubai si dedica a un progetto innovativo di riconversione dei mezzi di trasporto, che consiste nella trasformazione dei veicoli a motore endotermico in veicoli elettrici, mantenendo o riqualificando tutto ciò che è possibile conservare.
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